L'ecomafia e la tutela contro la criminalità ambientale in Italia
Ecomafia e reati ambientali: la definizione del concetto e le previsioni del nostro ordinamento giuridico
Che cosa significa ecomafia?
Ecomafia è un termine individuato da Legambiente[1], che così definisce le attività illegali delle organizzazioni criminali di stampo mafioso che provocano danni all’ambiente. Il termine appare per la prima volta nel 1994 in una documentazione intitolata “Le ecomafie – il ruolo della criminalità organizzata nell’illegalità ambientale”, redatta in collaborazione con Eurispes[2] e con l’Arma dei Carabinieri.
Infatti, anche se Il nostro ordinamento aveva già emanato nel 1982 il D.P.R. del 10 settembre 1982, n. 915[3], è solo grazie a questa prima documentazione del 1994 sull’ecomafia che venne istituita la “Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti”, e dal 1997 si iniziò a pubblicare ogni anno il Rapporto Ecomafia, relativo ai crimini ambientali divisi per categoria.
Le attività illecite legate all’ecomafia
Tra le attività illecite più comuni ci sono:
- il traffico illegale e lo smaltimento illegale dei rifiuti;
- l’abusivismo edilizio;
- incendi boschivi;
- illegalità nel mercato dell’agroalimentare[4].
Nell’ultimo rapporto di Legambiente 2022[5] sono stati monitorati 59.268 illeciti amministrativi legati all’ecomafia, tra i quali 9.490 reati nel ciclo del cemento illegale, 8.473 reati legati alla gestione dei rifiuti, e 6.215 reati contro la fauna. Inoltre si è segnalato l’incremento dei reati contro il patrimonio boschivo e il patrimonio storico-artistico.
La tutela prevista contro la criminalità ambientale in Italia
Oggi lo strumento legislativo di contrasto all’ecomafia è la Legge 68/2015. Si tratta di una prescrizione indispensabile sia nel suo carattere repressivo sia nel suo carattere preventivo. Essa ha introdotto, infatti, nuovi delitti a salvaguardia dell’ambiente nel Codice penale, modificando così il quadro normativo che affidava in maniera predominante la tutela dell’ambiente a contravvenzioni e sanzioni di tipo amministrativo previste dal d.lgs. 152 del 2006.
Pertanto, ad oggi, i delitti contro l’ambiente e di contrasto all’ecomafia costituiscono un spazio rilevante del diritto penale, che ritroviamo nel Titolo VI-bis del secondo libro del Codice penale.
Più precisamente i delitti ambientali introdotti dalla legge del 2015 si trovano agli articoli 452 bis e seguenti, e sono:
- Inquinamento ambientale, previsto dall’art 452 bis c.p., punisce chiunque abusivamente cagioni una compromissione o un deterioramento “significativi e misurabili” “dello stato preesistente delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo e del sottosuolo o di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora e della fauna”;
- Disastro ambientale ex art 452 quater c.p., si tratta di un’alterazione irreversibile di un ecosistema. L’offesa all’incolumità pubblica viene determinata con riferimento sia alla rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione ambientale, sia al numero delle persone offese o esposte al pericolo;
- Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, delitto commesso da chi “cede, acquista, riceve, esporta, …, abbandona materiale di alta radioattività” ex art 452-sexies c.p.;
- Impedimento del controllo, che troviamo all’art 452 septies c.p., e punisce chiunque impedisca o intralci, o eluda l’attività di vigilanza e controllo ambientale e di sicurezza ed igiene del lavoro, ovvero ne comprometta gli esiti;
- Omessa bonifica, prevista all’art 452 terdecies c.p., che punisce chiunque, essendovi obbligato, non provvede alla bonifica, al ripristino e al recupero dello stato dei luoghi;
- Illecita ispezione di fondali marini, delitto commesso da chi usa tecniche esplosive di ricerca e di ispezione finalizzate alla coltivazione di idrocarburi.
La legge ha inoltre introdotto una specifica disciplina per l’estinzione degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale, prevedendo la responsabilità amministrativa dell’ente anche in relazione alla commissione da parte dei suoi dipendenti dei nuovi delitti contro l’ambiente[6].
Informazioni
[2] L’Eurispes è un ente privato che opera nel campo della ricerca, politica, economica e sociale.
[3] In attuazione delle direttive (CEE) n. 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 smaltimento dei policlorodifenili, dei policlorotrifenili e n. 78/319 in merito ai rifiuti tossici e nocivi, per contrastare l’emersione di alcune attività dell’ecomafia.
[4] Gli organi dell’antimafia in Italia: come funzionano? – DirittoConsenso.
[5] Ecomafia 2022: presentati i dati sui reati ambientali in Italia • Legambiente
[6] https://ilgiornaledellambiente.it/ecomafie-cosa-sono/
L'ODIHR: cos'è?
L’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell’OSCE: in una sigla, ODIHR
La fondazione dell’ODIHR
L’Ufficio per le istituzioni democratiche ed i diritti umani, noto con la sigla in termini inglesi ODIHR[1], è l’ufficio dell’Organizzazione per la sicurezza comune in Europa (OSCE) preposto ad assistere gli Stati membri nell’attuazione delle norme a tutela della dimensione umana nella macro-area della sicurezza internazionale.
La domanda che ora ci potrebbe sorgere spontaneamente è: Cosa significa a livello giuridico “dimensione umana della sicurezza”? Perché il concetto giuridico di “dimensione umana” è decisamente differente da quello giuridico “diritti dell’uomo”[2]. Infatti con la tutela della dimensione umana si intende un campo d’azione che si estende dalla tutela dei diritti dell’uomo, ovvero rapporti tra individuo e Stato, fino alla tutela dei rapporti tra le istituzioni: Democrazia, istituzioni democratiche e Stato di diritto[3]. La dimensione umana è quindi un pilastro della sicurezza Comune, anche detta sicurezza cooperativa. Ecco perché gli Stati membri dell’OSCE, concordando che non vi può essere sicurezza duratura senza il rispetto dei diritti umani e senza istituzioni democratiche funzionanti, hanno istituito ODIHR.
Più precisamente l’ufficio dell’ODIHR venne istituito nel 1990, inizialmente come Ufficio per le libere elezioni e quasi subito riorganizzato e rinominato con la denominazione ed i ruoli attuali.
Così facendo l’OSCE assiste gli Stati:
- Nel rafforzare le istituzioni democratiche;
- Nell’organizzare elezioni democratiche, libere e trasparenti;
- Nel promuovere l’uguaglianza di genere;
- Nel garantire il rispetto dei diritti umani, la libertà dei mezzi d’informazione, ed i diritti delle persone appartenenti alle minoranze nazionali.
La competenza e le funzioni dell’ODIHR
L’ attività dell’ODIHR si sviluppa in 5 macro-categorie che compongono il concetto giuridico relativo alla dimensione umana:
- Diritti umani;
- Tolleranza;
- Contrasto alla discriminazione;
- Sviluppo della democratizzazione;
- Controllo elezioni.
All’interno di queste categorie si sviluppano 10 aree di lavoro che vengono assegnate ai funzionari:
- Promuovere la memoria dell’Olocausto ed approcci educativi per combattere l’antisemitismo organizzando giornate della memoria;
- Promuovere approcci educativi all’intolleranza e alla discriminazione contro i musulmani;
- Sostenere i governi e la società civile per implementare un’educazione ai diritti umani di qualità nell’istruzione formale e non formale;
- Educazione sui problemi dei Rom e dei Sinti;
- Formazione sul monitoraggio dei processi, infatti l’ODIHR ha elaborato un manuale di riferimento per gli operatori del monitoraggio dei processi nonché un Riassunto legale dei diritti al processo equo internazionale come strumento educativo per la società civile;
- Formazione a sostegno della società civile;
- Promuovere la partecipazione politica delle donne e l’uguaglianza di genere;
- Formazione e risorse per sostenere gli attori del settore della sicurezza negli sforzi di riforme, per quest’area l’ODIHR organizza corsi di formazione per tutti i membri del settore della sicurezza, inclusi polizia, personale di frontiera e personale delle forze armate, sull’integrazione di una prospettiva di genere nel loro lavoro e nelle loro strutture. L’ODIHR ha inoltre sviluppato risorse che si occupano specificamente dei diritti umani degli attori del settore della sicurezza, comprese le donne ei militari;
- Tutela dei diritti umani nella lotta al terrorismo;
- Banca dati giuridica online denominata “Legislationline” come risorsa educativa per gli operatori del diritto e la società civile, fornendo accesso diretto a norme e standard internazionali relativi a specifiche questioni legate alla dimensione umana, nonché alla legislazione interna degli Stati partecipanti all’OSCE.
Quindi riassumendo brevemente, la competenza dell’ODIHR si concentra sull’osservazione elettorale soprattutto attraverso il monitoraggio dell’implementazione da parte degli Stati degli standard OSCE in materia di diritti umani[4]; sulla lotta alla tratta degli esseri umani, sulle questioni relative alla partecipazione di rom e sinti, sulla protezione dei diritti umani nella lotta contro il terrorismo, promozione della libertà religiosa, della libertà di movimento e della parità di genere. Inoltre si impegna alla lotta al razzismo e alle forme collegate di intolleranza, promozione delle formazioni di società civile coadiuvando i Paesi membri.
L’ODIHR oggi
L’attuazione degli impegni presi nella dimensione umana è la priorità di tutti i paesi membri dell’OSCE sin dall’inizio dell’istituzione dell’ODIHR. Perciò, come si può osservare, anche solo guardando agli ultimi 40 anni[5] di operato, sono state messe a punto solide basi, volte a promuovere i diritti dell’uomo, la democrazia e lo Stato di diritto.
Questo fa sicuramente meglio sperare che l’attenzione alla dimensione umana sia non solo una costante dei paesi europei, ma anche che li renda sempre un passo avanti nel rispetto dei diritti umani. Oggi l’ODIHR ha sede a Varsavia, e conta ben 130 funzionari provenienti da 30 paesi diversi, a questi si è aggiunto con nomina avvenuta nel 2020 il nuovo direttore, Matteo Mecacci.
Informazioni
[1] Acronimo inglese che sta per: Office for Democratic Institutions and Human Rights.
[2] https://www.dirittoconsenso.it/2021/06/16/ruolo-organi-internazionali-quasi-giudiziari-diritti-umani/
[3] Si veda la definizione data dalla Conferenza di Mosca del 1991.
I rifugiati SOGI e la protezione internazionale
Il sistema di protezione internazionale per i richiedenti asilo e i rifugiati SOGI è complesso. Di che si tratta?
I rifugiati SOGI e il rischio di persecuzione
I rifugiati SOGI, “SOGI based asylum claimers”[1], sono persone che richiedono ed ottengono asilo perché perseguitati a causa del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere. Le persone LGBTQ sono esposte a notevoli rischi di violazione dei loro diritti fondamentali nei Paesi dove le relazioni tra persone dello stesso sesso sono criminalizzate.
La richiesta d’asilo è possibile in base alla protezione fornita dalla Convenzione di Ginevra del 1951[2], infatti il sistema di protezione internazionale assicura tutela giuridica, attraverso garanzie processuali e procedimentali, alle persone che fuggono dal loro Paese d’origine a causa di persecuzione per motivi di razza, religione, opinioni politiche, cittadinanza ed appartenenza a un determinato gruppo sociale.
Ed è proprio grazie al riferimento che si ricava dal temine “gruppo sociale” ed al lavoro del UNHCR[3] che, nei primi anni 2000, si estese la tutela prevista dal sistema di protezione internazionale anche alle persone LGBTQ che, nel loro Paese d’origine, a causa del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere (SOGI) vengono perseguitate rischiando ogni giorno la vita[4].
Il concetto di “persecuzione” a livello giuridico, che si ricava dalla Convenzione di Ginevra e su cui si basa la protezione internazionale, comprende gravi violazioni dei diritti umani che possono manifestarsi come minacce alla vita e alla libertà dei rifugiati SOGI. Con “minaccia” si intende un grave danno comprensivo di tutte le sue implicazioni minatorie, che costituisce una condotta persecutoria da parte del Paese d’origine.
Per questo motivo la richiesta d’asilo può essere presentata anche interamente sul “fondato timore di persecuzione“: esistono infatti Paesi dove la criminalizzazione dell’omosessualità non è esplicita, però viene fatta rientrare in disposizioni penali che puniscono comportamenti “indecenti” o “immorali”. In questo caso i rifugiati SOGI che hanno presentato la domanda, a causa ad esempio del loro orientamento sessuale, non hanno bisogno di dimostrare – per ottenere protezione internazionale – che le autorità del loro Paese d’origine erano informate di ciò prima che lui/lei/* lasciasse il Paese, esattamente come accade per le richieste d’asilo fondate sul timore di persecuzione per motivi legati ad opinioni politiche. La fondatezza del timore in questi casi si basa sulla valutazione delle conseguenze che un richiedente con un determinato orientamento sessuale o una determinata identità di genere dovrebbe affrontare, se tornasse nel proprio Paese d’origine.
Ad ogni modo è bene sottolineare che, pur essendo garantita dal diritto internazionale tutela giuridica, la disciplina rimane a discrezione dei singoli Stati.
Richieste d’asilo per SOGI
In Italia vige l’art. 10 comma 3 della Costituzione[5]. Allo stato attuale non è propriamente corretto riferirsi ad un diritto d’asilo costituzionale: è decisamente più corrispondente, alla situazione odierna, fare riferimento ad un sistema articolato e composito di protezione, dove le fonti interne sono affiancate a fonti esterne di derivazione soprattutto europea[6]. Non esiste ancora una disciplina organica della materia.
I passaggi per ottenere lo status di rifugiati SOGI sono complessi perché sono interessati da un’ampia eteronormatività data dai diversi Paesi in cui si opera, e perché i richiedenti sono soggetti all’onere della prova e all’esame di credibilità.
Inoltre bisogna prendere in considerazione il fatto che alcuni richiedenti non sono in grado di fornire prove documentali, come possono essere ad esempio le dichiarazioni di testimoni, probabilmente perché può essere particolarmente difficile parlare di argomenti così intimi, considerati nel Paese d’origine tabù e fonte di persecuzione, in questo caso gli operatori devono fare affidamento esclusivamente sulla credibilità della testimonianza della storia di vita vissuta del richiedente.
La procedura di richiesta d’asilo
Vediamo ora gli aspetti più pragmatici della presentazione della richiesta d’asilo, tenendo sempre presente la fragilità del diritto d’asilo, soprattutto in questo periodo di forte crisi umanitaria.
La domanda deve essere presentata alla questura competente per il luogo di dimora del richiedente, oppure all’ufficio di polizia di frontiera. Ricevuta la richiesta, viene redatto il verbale delle dichiarazioni del richiedente, allegando tutti i documenti necessari.
L’esame dell’istanza spetta alle Commissioni territoriali istituite dalla legge n. 189 del 2002, queste sono composte da quattro elementi:
- Un funzionario della carriera prefettizia, che assumerà il ruolo di presidente;
- Un funzionario della Polizia di Stato;
- Un componente designato dall’UNHCR;
- Un rappresentante dell’ente territoriale.
I rifugiati SOGI in sede di esame sono sottoposti a domande di accertamento che non possono essere ricalcate da immagini stereotipate della comunità LGBTQ, ovvero non si può ad esempio presumere che se il richiedente SOGI è un uomo debba presentare un atteggiamento particolarmente “flamboyant”[7]; è importante quindi che i richiedenti vengano intervistati da funzionari formati e ben informati delle problematiche specifiche che le persone LGBTQ si ritrovano ad affrontare. Le criticità maggiormente riscontrabili sono la mancanza della presenza istituzionalizzata per legge della figura del Mediatore culturale[8], e l’assenza di centri dedicati all’accoglienza dei rifugiati SOGI completamente LGBTQ friendly[9].
Riflessioni conclusive
Ancora troppe persone LGBTQ sono costrette a lasciare la propria casa a causa del loro orientamento sessuale o della loro identità di genere, proprio perché fortemente discriminati e perseguitati dalle leggi del loro Paese d’origine. I rifugiati SOGI meritano di avere tutte le garanzie disponibili che assicurino loro l’effettività dei loro diritti, e che arginino la fragilità intrinseca del sistema di accoglienza.
Infatti il diritto d’asilo è un diritto fragile ed articolato, perché ha una natura sia procedimentale che sostanziale, come si è potuto osservare leggendo il presente articolo. Vi è la necessità di maggiori garanzie che scongiurino il rischio della sua inefficacia.
È perciò auspicabile che presto venga realizzata una politica unitaria internazionale il più possibile organica, che non lasci i singoli Stati da soli alla mercé di rocamboleschi bilanciamenti d’interesse.
Informazioni
Nota dell’UNHCR contenente indicazioni sulle domande di status di rifugiato nell’ambito della Convenzione del 1951 relative a orientamento sessuale e identità di genere e sito dell’UNHCR: https://www.refworld.org/cgi-bin/texis/vtx/rwmain/opendocpdf.pdf?reldoc=y&docid=5513c5c24 e https://www.unhcr.org/it/
L’omofobia e i rifugiati LGBTQ – https://www.unhcr.org/it/risorse/carta-di-roma/fact-checking/lomofobia-rifugiati-lgbti/
Rifugiati Lgbti in Europa : quando il pregiudizio porta al respingimento, di L. Liboni – https://openmigration.org/analisi/rifugiati-lgbti-in-europa-quando-il-pregiudizio-provoca-il-respingimento/
Opportunità e sfide delle migrazioni: l’ approccio della comunità internazionale, di R. Scita per DirittoConsenso – http://www.dirittoconsenso.it/2020/08/29/opportunita-e-sfide-delle-migrazioni-lapproccio-della-comunita-internazionale/
[1] “Richiedenti asilo su base SOGI (orientamento sessuale e identità di genere)”.
[2] La Convenzione di Ginevra del 1951 è un trattato internazionale che definisce lo status del rifugiato e gli obblighi di protezione degli Stati.
[3] UNHCR è l’acronimo dell’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
[4] Per rimanere aggiornati su questo tema si consiglia di visionare i report dell’ILGA.
[5] L’art 10 comma 3 della Costituzione prevede il diritto di asilo nei territori della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.
[6] La cooperazione allo sviluppo dell’UE, di D. Veraldi per DirittoConsenso – http://www.dirittoconsenso.it/2021/03/10/cooperazione-allo-sviluppo-ue/
[7] Termine che significa “vistoso”, “appariscente”.
[8] Il Mediatore culturale è un agente bilingue che “media” tra soggetti monolingue, ma non è un semplice traduttore, è una persona qualificata costantemente informata sulle culture delle due comunità linguistiche differenti.
[9] “LGBTQ friendly” è un atteggiamento aperto, accogliente e non discriminatorio nei confronti di persone gay, lesbiche, bisessuali e transgender.
Il DDL Zan spiegato facile
Il DdL Zan, un disegno di legge per contrastare omobitransfobia, abilismo e misoginia
Il DDL Zan
Il Disegno di Legge Zan (noto ormai a tutti come DdL Zan) – dal nome del suo primo firmatario l’On. Alessandro Zan – mira a punire chi istiga a commettere o commette atti di discriminazione o violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, o sull’identità di genere, o sulla disabilità della vittima[1].
Questi sono crimini d’odio, perché commessi nei confronti di persone in base alla loro appartenenza a un determinato gruppo sociale. Il testo è strutturato in dieci articoli[2], che idealmente potremmo dividere in due gruppi:
- Disposizioni con il fine di sanzionare gli atti di violenza (Artt. 2 – 6)
- Disposizioni con il fine di prevenire gli atti di violenza, attraverso azioni di carattere culturale e istituzionale (Artt. 7-10).
L’art 1 è stato pensato per definire alcuni beni giuridici tutelati dalla proposta di legge. In questa disposizione si danno le definizioni rispettivamente di sesso, di genere, di orientamento sessuale e di identità di genere. Queste esplicitazioni hanno lo scopo di indicare le modalità attraverso le quali sono definite le vittime dai loro aggressori, e non come le vittime stesse si qualificano. In altre parole, definiscono quale siano i moventi d’odio – legati alla sfera sessuale dell’individuo – alla base dell’aggressione. Entrando nel vivo del DdL Zan vediamo come il primo gruppo di articoli (2-6) ha lo scopo di sanzionare gli atti causati da omobitransfobia, misoginia e abilismo[3] estendendo la tutela della Legge Mancino[4] che punisce attualmente mediante aggravante i soli crimini d’odio per razza, etnia, religione e nazionalità. Quindi più precisamente si vuole ampliare la tutela prevista dagli artt. 604 bis e 604 ter del Codice Penale vigente, tenendo presente che il DdL Zan interviene in senso estensivo solo sulle condotte di istigazione, discriminazione e violenza. La previsione quindi non estende il reato di propaganda.
Il secondo gruppo di articoli (dal 7 al 10) ha lo scopo di aumentare la consapevolezza sugli atti discriminatori e così prevenirli, disciplinando ad esempio una rilevazione statistica delle discriminazioni almeno ogni tre anni e l’istituzione della giornata nazionale contro omobitrasfobia.
Il DDL Zan non limita la libertà di espressione
L’aggravante interverrà solo ed esclusivamente se a motivare i reati d’odio in questione ci sarà l’orientamento sessuale, l’identità di genere, il sesso o la disabilità della vittima. Tuttavia per eliminare qual si voglia dubbio nel DdL Zan, anche se non serviva perché vige l’art. 21 della Costituzione[5], è stata aggiunta la cosiddetta “Clausola salva idee“, clausola mancante nella legge Mancino del 1993 :
“Art. 4 (Pluralismo delle idee e libertà delle scelte) – Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti.”
Come si vede, l’art. 4 o “Clausola salva idee” esclude esplicitamente idee e opinioni sull’orientamento sessuale e l’identità di genere dalla punibilità. Quindi affermare che il DdL Zan leda la libertà di espressione è fuorviante. La libertà di opinioni è tutelata sia per l’art 21 della nostra Costituzione, a cui tutte le leggi ordinarie sono implicitamente soggette, sia per lo stesso art. 4 del DdL Zan.
Inoltre alla luce di quanto riportato è bene sottolineare che la proposta di legge non intende introdurre nessun reato di opinione, infatti la ratio giuridica alla base dei reati di opinione mira a sanzionare la mera esternalizzazione di un pensiero a prescindere dalle effettive conseguenze dell’esternalizzazione. A questo proposito l’art 4 ci dice “sono fatte salve la libera espressione di convincimenti … purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti” quindi viene ancora una volta espressamente esclusa la propaganda di idee (reato d’opinione), prevedendo esplicitamente e unicamente le condotte che abbiano come conseguenza in concreto il pericolo di atti di discriminazione e violenza.
Riflessioni conclusive
Il DdL Zan si prefigge l’obiettivo di colmare la lacuna legis del nostro ordinamento sui crimini d’odio, perché gli strumenti previsti nel nostro Codice Penale non sono calzanti. Infatti attualmente c’è una disparità di trattamento nel sanzionare i crimini d’odio. Si puniscono più gravemente i crimini d’odio fondati su religione e nazionalità perché coperti dalla Legge Mancino, mentre i crimini d’odio fondati su omofobia ed abilismo al massimo possono venire sanzionati ex art 61 cp (aggravante per futili motivi) risultando punibili alla stregua di una lite per un vestito (la lite per un vestito è un esempio di futile motivo).
Se il DdL Zan verrà approvata avremmo una legge atta a dare pari dignità sociale a tutti i cittadini, per evitare che qualcuno venga colpito o sia in pericolo per il solo fatto di vivere ed essere com’è: omosessuale, disabile, transgender (ecc.). Tuttavia i recenti accadimenti politici rendono il risultato non scontato.
La discussione in Senato del DdL Zan è stata calendarizzata per il 13 luglio.
Informazioni
[1] Si veda anche http://www.dirittoconsenso.it/2020/09/17/verso-legge-contro-omotransfobia/
[2] Testo DDL Zan: https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/356433.pdf
[3] L’abilismo, ovvero la discriminazione o la violenza nei confronti delle persone con disabilità, fondata su un paradigma culturale che si traduce in barriere sociali, mentali e fisiche che impediscono al soggetto/vittima di godere della piena dignità sociale
[4] La “Legge Mancino” è la legge n. 205 del 1993 che sanziona i crimini d’odio e le discriminazioni su base etnica, religiosa, nazionale, razziale.
[5] L’art. 21 della nostra Costituzione tutela la libertà di opinione
Omogenitorialità: l'interesse del minore allo status filiationis
La mancata tutela dell’omogenitorialità, a causa del persistente silenzio legislativo, lede in primis l’interesse dei minori coinvolti
L’omogenitorialità nell’ordinamento italiano
L’omogenitorialità – ovvero la genitorialità delle persone omosessuali – è una realtà di fatto sprovvista di tutela, anche a causa della legge 76/2016[1]. Infatti questa legge, che ha il pregio di aver introdotto in Italia l’istituto delle unioni civili, ha sottolineato sin dall’art. 1 comma 1 come le unioni siano altra cosa rispetto al matrimonio e alla famiglia – spostando la copertura costituzionale dall’art. 29 agli articoli 2 e 3.
Quindi il potere giudiziario – in ragione del silenzio legislativo – è stato chiamato a trovare risposte alle questioni in materia, per cercare di garantire il best interest of child[2] dei minori coinvolti e un possibile diritto alla genitorialità[3] inteso come libertà di espressione della propria personalità ex art. 2 Cost.
Le pronunce in materia di omogenitorialità possono essere divise in tre grandi categorie:
- la trascrizione del provvedimento straniero;
- l’adozione co-parentale;
- l’affidamento e l’affido.
Nella cornice di questo quadro si trova il concetto di ordine pubblico, che dapprima viene eretto a baluardo contro il riconoscimento di questo modello di famiglia[4], poi reinterpretato dalla recente giurisprudenza si evolve a mezzo di continuità del legame affettivo[5]. Il vuoto normativo in materia di omogenitorialità però, come d’altronde è facilmente intuibile, mal si concilia con la certezza del diritto.
Infatti le sentenze che si susseguono in materia non sono identiche, spesso a discapito degli interessi dei minori coinvolti[6], senza contare i tempi lunghi di svolgimento del processo. Perciò recentemente la Corte costituzionale, attraverso le sentenze n. 32 e n. 33 del 9 marzo 2021, si è espressa in favore dell’interesse del minore allo status filiationis nei confronti del genitore sociale.
Queste ultime pronunce costituiscono un vero è proprio monito al legislatore con lo scopo di incentivare quanto prima il suo intervento, in modo da offrire tutela alla pluralità dei modelli familiari presenti nella quotidianità.
Diamo quindi uno sguardo a queste recentissime sentenze.
Le ultime sentenze della Corte costituzionale
In Italia non è ancora possibile per le coppie omossessuali accedere alla filiazione attraverso l’adozione, o attraverso la procreazione medicalmente assistita (pma) o a mezzo di gestazione di sostegno (gpa)[7]. La Corte Costituzionale con le sentenze n. 32 e n. 33 non si limita a riconoscere un vuoto normativo, ma invita il legislatore a normare l’omogenitorialità ritenendo doveroso il suo intervento per garantire strumenti di tutela adeguati allo status dei nati.
Nel dettaglio la pronuncia n. 32 del marzo 2021, che vede protagonista una doppia maternità, ci dice “che non sarebbe più tollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa, tanto è grave il vuoto di tutela del preminente interesse del minore“, sulla stessa linea la pronuncia n. 33, caso di doppia paternità, ritiene “oramai indifferibile” la questione e l’individuazione di strumenti consoni a colmare il vuoto legislativo.
Inoltre da queste decisioni emerge l’insufficienza e l’inadeguatezza dell’adozione in casi particolari[8] come strumento di tutela dei minori nati a mezzo di pma eterologa, o a mezzo di gpa, dato che si tratta di un istituto che “opera in ipotesi tipiche e circoscritte, producendo effetti limitati, visto che non conferisce al minore lo status di figlio legittimo dell’adottante, non assicura un rapporto di parentela tra adottato e famiglia dell’adottante“.
Così esprimendosi la Corte ha reso centrale ed inequivocabile il preminente interesse del minore allo status filiationis nei confronti del genitore sociale, sottolineando come il legislatore dovrà nei tempi più celeri trovare soluzioni che consentano la pienezza effettiva del legame di filiazione.
Finalmente grazie a queste sentenze è ormai marcatamente evidente che il punto della questione sia il diritto del bambino alla stabilità delle relazioni affettive. Esse devono essere garantite: che si tratti di famiglie omogenitoriali o che si tratti di famiglie formate da genitori di sesso diverso.
Riflessioni conclusive
L’orientamento sessuale di una persona non può essere il discriminante che pregiudica la gioia di creare una famiglia, non si può rimanere indifferenti alle richieste di riconoscimento legale del genitore sociale perché si rimarrebbe indifferenti agli interessi del nato.
La speranza che il legislatore accolga il monito della Corte Costituzionale è alimentata dalla certezza che l’amore non si può fermare, la strada per il riconoscimento dell’omogenitorialità è ancora in salita ma è segnata dalle sentenze 32 e 33 di marzo.
La vita reale bussa alle porte del Parlamento chiedendo di essere riconosciuta e tutelata, si spera che non si tardi ancora ad aprire perché non c’è nulla di più tradizionale dell’amore, ed è l’amore che crea una famiglia.
Informazioni
“La legge Cirinnà e successive conseguenze” di Giulia Gava per DirittoConsenso. Link: http://www.dirittoconsenso.it/2020/04/15/legge-cirinna-e-successive-conseguenze/
“La recente giurisprudenza in materia di omogenitorialità tra mutamenti di paradigmi e nuove prospettive di politica legislativa” di Anna Lorenzetti per Costituzionalismo.it.
“La Corte costituzionale e l’omogenitorialità: la parola al Parlamento” di Angelo Schillaci per Art.29.it.
[1] Si veda ” Le unioni civili” di Francesco Pacilè per DirittoConsenso http://www.dirittoconsenso.it/2019/01/11/le-unioni-civili/
[2] “Interesse superiore del bambino” è il principio caratterizzante il diritto minorile, si basa sulla necessità di perseguire un interesse specifico che è l’interesse del soggetto minorenne. Questo perché il legislatore fa una valutazione a priori: i soggetti minorenni si presumono incapaci di badare da loro ai loro interessi a causa della loro condizione di immaturità fisica e psichica.
[3] Il diritto alla genitorialità visto come diritto di chi ha generato un legame genitoriale di proseguire e mantenere la relazione affettiva già instaurata con il minore.
[4] Si veda ad es. Trib. Min. Brescia, 26.9.2006, in Fam., min., 2007, p.74.
[5] Si veda Cass. 19599/2016 e Cass. 14878/2017.
[6] Si veda M. Picchi, “Figli di un Dio minore”: quando lo status filiationis dipende dal luogo di nascita (Brevi riflessioni a margine della sentenza n. 230 della Corte Costituzionale), in Forum di Quaderni Costituzionali, 1, 2021, disponibile in www.forumcostituzionale.it .
[7] Si veda la legge n. 40/2004.
[8] Si veda l’art. 44 della legge 184/1983.